Ridemmo infatti. E nel ridere ci piacemmo gli uni agli altri fino allo sfinimento, fino a cadere stremati in un deliquio in cui ancora a tratti crepitavano, come in un fuoco non del tutto spento, le fiammelle della nostra euforia. A Canio Spinato, detto u diavelucchie, tutto quello che interessa nella vita è far ridere, strappare a suon di battute una felicità che assomiglia a sollievo, specchiarsi nel sorriso degli altri e scoprire che piace, anche se la natura non gli ha regalato altro che questo desiderio disperato. Basterebbe lui a giustificare il regalo de La battuta perfetta di Carlo D’Amicis a Silvio Berlusconi. Un presente, appunto, perfetto non solo perché c’è un personaggio che porta il suo nome, ha fondato le maggiori tv private del paese e consegna liste di fanciulle da accontentare con doni e comparsate in reality e soap pomeridiane. Non solo perché c’è un delizioso inventario delle sue migliori barzellette, o il racconto di un mondo in cui le raccomandazioni sono “slanci d’amore” e il favoreggiamento della prostituzione uno Stranamore ante litteram. Ma anche perché nell’uomo provato e risentito che non è riuscito metaforicamente a farsele tutte e a conquistare il mondo, femminile e non solo, c’è un po’ del premier stremato di questi tempi: riconoscersi e riscoprire la sua primigenia vena comica potrebbe avere una funzione terapeutica e rendere al suo splendore il migliore dei nostri clown. A ognuno il suo talento.
Carlo D’Amicis, La battuta perfetta, minimum fax 2010, p. 368, e.15