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Roberto Formigoni

20 Mar

Punto dal fervido zelo della gloria di Dio e delle verità infallibili della sua Fede, [sant’Antonio] inalberò sugli stendardi della carità le bandiere della dottrina, nelle sedi della penitenza le armi della Croce, e fattosi tromba evangelica della Divina parola partì in resta con le concioni e la flagellazione dei vizi. […] Si sacrificò tutto sull’ara della Fede quale vittima della sua crudeltà, come chi così veridicamente aveva messo a repentaglio la vita per la morte, gli affetti per il martirio. Dal 1995 alla guida della Regione Lombardia con quattro mandati consecutivi, un passato imponente in Comunione e Liberazione, e un presente politico da ex DC sotto l’egida di Forza Italia prima e Popolo delle libertà ora, Roberto Formigoni ha come tutti coloro che promuovono il culto della personalità e sono in cerca di proseliti un sito personale, video caricati in rete dove si mostra atletico per sostenere il suo credo come Bush, collegamenti alla sua pagina su face book e al suo canale you tube. Un aspirante santo multimediale del nostro tempo si potrebbe dire. A lui regaliamo Storia dell’assedio di Lisbona di José Saramago, perché in quest’ansia di comunicazione si ricordi che la gente è attratta più da quello che è ambiguo che non da quello che è sicuro, e che soprattutto non sapremo mai fino a che punto le nostre vite cambierebbero se certe frasi udite ma non percepite fossero state capite. A seguire le certezze e soprattutto le condizioni, sant’Antonio non avrebbe compiuto il miracolo della mula, Mogueime da umile soldato non si sarebbe avvicinato a Ouroana – concubina di cavaliere –, e Raimundo e Maria Sara sarebbero rimasti lontani invece di diventare una coppia di rose. A Formigoni Storia dell’assedio di Lisbona, perché nel destino della città lusitana, dei cavalieri e dei mori accetti tutte le variabili di una vita vissuta. Anche in Lombardia.
José Saramago, Storia dell’assedio di Lisbona, Einaudi 2000, pp. 344, e. 11, 50 traduzione italiana di Rita Desti

Cristina Comencini

25 Feb

Figlia di Luigi Comencini, Cristina Comencini è una regista e scrittrice italiana. Col film tratto dal suo omonimo romanzo, La bestia nel cuore, scritto con la figlia, prodotto dal marito, va agli Oscar, entrando nella cinquina, lì dove falliscono film come Gomorra di Garrone o La prima cosa bella di Virzì. Cristina è sorella di Francesca, anche lei regista e a breve scrittrice (su Sette annuncia che sta lavorando alle bozze del suo romanzo di prossima uscita per Fandango).
Sui suoi esordi Cristina Comencini dice: ho mandato il mio secondo libro, Le pagine strappate, a Natalia Ginzburg, che aveva già letto il primo, ma mi aveva consigliato di non pubblicarlo. Glielo mandai anonimo, perché volevo che lo leggesse libera da ogni condizionamento. Non la conoscevo, ma lei conosceva mio padre. La Ginzburg disse che mi avrebbe aiutata a pubblicarlo. E passato un po’ di tempo, abbiamo fatto un editing insieme, poi lo ha pubblicato Feltrinelli. […] avevo gia scritto un raccontino, una favola ambientata nello zoo di Roma. Un produttore l’ha comprato e mi ha proposto di farne la regia, e così ho esordito anche nel cinema con Zoo.
Mai stroncata, sempre protetta, eppure neanche eccessivamente lodata, Cristina Comencini è ormai diventata una delle più popolari registe e scrittrici italiane. Sul suo talento molti avanzano dubbi. Il pubblico però la ama.
A Cristina Comencini regaliamo Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento di Sergio Luzzatto.
I mezzi di comunicazione propri della modernità hanno enormemente accelerato il bioritmo di ogni discorso agiografico, e ne hanno alimentato a dismisura la ricaduta geografica. Dal tardo Ottocento in poi […] la vox populi intorno a una fama di santità ha trovato formidabili strumenti per consolidarsi e per diffondersi: alimentando ulteriormente l’antica diffidenza della Chiesa per le devozioni carismatiche e miracolistiche, sempre esposte al rischio di sconfinare nella cosiddetta superstizione . Scrive Ignazio Silone: Non cerchiamo di capire. Il destino di certi santi, da vivi, è tra i misteri più oscuri della chiesa.

Sergio Luzzatto, Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento, Einaudi 2009, p. 419, e. 13,50

Saverio Costanzo

21 Feb

Saverio Costanzo figlio di Maurizio, è un regista italiano. Uno dei migliori. Inizia la sua carriera quando il padre è al massimo del potere. Potrebbe passare attraverso lui per realizzare il suo primo film. Non lo fa. Saverio Costanzo rifiuta qualsiasi aiuto per esordire con Private un film bellissimo e profondo sul conflitto israeliano-palestinese raccontato in una dimensione privata, quasi intima. Il film incassa pochissimo, ma è molto lodato dalla critica . Come il successivo, “In memoria di me”, tratto da un romanzo di Furio Monicelli, sulla crisi spirituale di un giovane che decide di entrare in seminario.
Su Repubblica, il giorno dell’uscita, Saverio Costanzo dichiara: “penso che non sia un film del tutto riuscito.”
Invitato in tutte le trasmissioni televisive – da Fazio alla Bignardi – Saverio Costanzo rifiuta. “C’è già un Costanzo in televisione, basta e avanza” pare sia la sua risposta.
Di recente trasforma il best seller “La solitudine dei numeri primi” in un film di nicchia che infatti incassa molto meno delle previsioni.
Saverio vieta al padre di pubblicizzare i suoi film. Ma per il secondo, alla fine di una puntata di “Tutte le mattine”, Costanzo non resiste. Mentre consiglia un altro film, una commedia, non si trattiene: “e poi se vi capita, andate a vedere anche In memoria di me.” La trasmissione finisce, in pochi hanno sentito il suggerimento, nessuno si ricorderà di seguire quel consiglio detto a mezza bocca. Sarà solo una faccenda di famiglia: un patto rotto.
A Saverio Costanzo regaliamo Patrimonio di Philip Roth.
Lo osservai intensamente, come per la prima volta, e continuai ad aspettare che nella testa mi si formassero altri pensieri. Ma non ne arrivarono più, nessun altro pensiero tranne questo: che dovevo fissarmelo nella memoria per quando fosse morto. Forse gli avrei impedito di sbiadire e diventare etereo col passare degli anni. “Devo ricordare con precisione, – mi dissi, – ricordare ogni cosa con precisione, in modo che quando se ne sarà andato io possa ricreare il padre che ha creato me”.

Philp Roth, Il patrimonio, Einaudi 2009, p. 196, e.11, traduzione di Vincenzo Mantovani

Azzurra Caltagirone

17 Feb

Anche il privilegio vanta le proprie, seppur minime, controindicazioni. Chi nasce in una grande famiglia benestante, perfettamente integrata nella vita pubblica al punto di rappresentare un vero e proprio polo di potere, può, talvolta, trovar maggior difficoltà a vivere una reale emancipazione, e a costruirsi un percorso di crescita personale autonomo. Molti rampolli di famiglia, di conseguenza, si limitano a occupare nominalmente o quasi i consigli amministrativi delle imprese costruite dai propri predecessori, senza mai poter sviluppare le proprie passioni più autentiche. E’ per scongiurarle questo rischio che regaliamo ad Azzurra Caltagirone, figlia di Francesco Gaetano, imprenditore, costruttore ed editore, e moglie di Pierferdinando Casini, noto come uomo politico, un capolavoro della letteratura russa ottocentesca: Oblomov di Ivan Goncarov.

Vivendo le vicende del protagonista, e  fiutando le eventuali correlazioni, Azzurra, ci auguriamo, dovrebbe riuscire a mettersi al riparo da una certa pigrizia mentale, dall’idea di vivere di rendita, da qualsiasi forma d’infingardaggine, dall’assuefazione all’idea la propria condizione sia ontologica e che i propri privilegi non abbiano alcun costo sociale.

 

 

 

Oblomov, Ivan Goncarov, Einaudi 2006, p. 487, e. 13,50, Trad. Ettore Lo Gatto

Ilda Boccassini

15 Feb

Immaginiamo una data se non epocale, certo a partire dalla quale nulla sarebbe più stato uguale.
Immaginiamo uno straordinario protagonista della vita e della società, quali erano sino a quel momento. Laurea in economia con ottimi voti a Princeton, lavoro prestigioso in una società di consulenza newyorkese, ascesa rapidissima, brillante carriera di analista finanziario. Laurea in giurisprudenza, magistratura, procura della Repubblica di Milano, la prima inchiesta sulle infiltrazioni mafiose in Lombardia, la collaborazione con Giovanni Falcone. Una caratteristica fisica negata: la barba, folta, nera e incolta. Dunque araba? Una caratteristica fisica ostentata: i capelli rossi, ricci, riottosi. Dunque comunisti?
Poi. Undici settembre 2001, l’attacco alle Torri Gemelle, New York, USA. Diciassette febbraio 1992, l’arresto di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, Milano, Italia.
E se è vero che quel giorno nella vita di ognuno fece irruzione l’assoluto, l’effetto non fu lo stesso per tutti. Qualcuno avvertì, con il lucido nitore che solo la tragedia può dare, di essere nient’altro che un giannizzero, un servitore dell’impero sbagliato. E con tutta la violenza del servitore tradito, iniziò a guardarsi intorno con occhio analitico, non più soggetto alle pressioni, prima accademiche poi professionali, a concentrarsi solo sulle singole parti, ma libero di considerare la società come un tutto. Allora, la barba scura e i riccioli rossi non poterono altro se non innescare un processo di lenta ma inarrestabile rivoluzione, sorretti dalla consapevolezza della forza spirituale e barbarica della propria estraneità. Regaliamo a Ilda Boccassini il romanzo di Mohsin Hamid, Il fondamentalista riluttante (Einaudi, trad. Norman Gobetti) perché vorremmo che né di giannizzeri né di fondamentalismi questo paese avesse, finalmente, bisogno.

Un’America come quella andava fermata, non solo nell’interesse del resto dell’umanità, ma anche nel vostro stesso interesse. Decisi di farlo, meglio che potevo.

Mohsin Hamid, Il fondamentalista riluttante, Einaudi 2008, p. 134, e. 9,50, traduzione di Norman Gobetti