Archivio | passa dal via RSS feed for this section

Marco Pannella

9 Mar

Giacinto Pannella è nato a Teramo il 2 maggio 1930.
Ecco. La declinazione della sua data di nascita è l’unica affermazione che Pannella non ha mai contestato. S’è cambiato perfino il nome (in Marco) e, probabilmente, non è d’accordo con quello che stai pensando in questo momento.
Anti-everything della prima ora, Pannella si è sempre battuto contro quelle posizioni politiche e/o sociali caratterizzate dal fatto che esistesse qualcuno che le sostenesse. A quest’uomo così diplomatico e arrendevole, consigliamo allora il simpatico volumetto Yes Man, di Danny Wallace, da cui è stato tratto l’omonimo film con Jim Carrey. E’ la storia di un giovanotto subadulto che, per un anno, si impegna a dire sempre sì a qualunque proposta gli capiti fra i piedi. Al nostro Giacinto, questo tipo di pratica potrebbe fruttare, alla fine, un qualche memorabile successo politico che lo consegni definitivamente alla storia (aver cacciato Capezzone non basta, diciamocelo). O, a ogni modo, un brindisi di fine carriera più che dolce, e per una volta senza retrogusto d’urine.

Danny Wallace, Yes Man, Mondadori 2006
p. 405, e. 16, traduzione di A. Colombo e P. Frezza Pavese

Paolo Guzzanti

28 Feb

Noi di Azazel non lasciamo mai sola la nostra Classedirigente. Vogliamo che si senta accudita. Abbiamo buona memoria e rispettiamo il principio della parità di trattamento. Sentiamo, in stridente contrasto con la Carta Costituzionale, rea di riottosità al cambiamento, il vincolo di mandato. E allora ci corre l’obbligo di un dono per Paolo Guzzanti, che si è traghettato dal piccolo Partito Liberale al gruppo di Iniziativa Responsabile, gemmato da quel Movimento per la Responsabilità Nazionale al quale non avevamo fatto mancare, nell’immediatezza della fondazione, un cesellato libello. Ritorno con Berlusconi, ma per batterlo. Sono le parole con le quali il deputato ha reso noto le intime motivazioni della sua decisione. Perché non tema che l’accreditiamo di una condizione deteriore rispetto a Calearo, Cesario, Scilipoti, per non essere annoverato tra i promotori, anche a lui dedichiamo un’opera teatrale di Jean Paul Sartre, Le mosche. Novello Oreste, compia simbolicamente l’omicidio rituale, indi, onusto del rimorso, si chiuda nel tedio dell’eroica solitudine (borghese) al quale lo condannerà l’incomprensione di una città intera, allontanando per sempre le malevole Erinni e le loro nefaste epifanie.

Jean Paul Sartre, Le mosche, Bompiani 1960-1991 [testo di difficile reperibilità]

Azzurra Caltagirone

17 Feb

Anche il privilegio vanta le proprie, seppur minime, controindicazioni. Chi nasce in una grande famiglia benestante, perfettamente integrata nella vita pubblica al punto di rappresentare un vero e proprio polo di potere, può, talvolta, trovar maggior difficoltà a vivere una reale emancipazione, e a costruirsi un percorso di crescita personale autonomo. Molti rampolli di famiglia, di conseguenza, si limitano a occupare nominalmente o quasi i consigli amministrativi delle imprese costruite dai propri predecessori, senza mai poter sviluppare le proprie passioni più autentiche. E’ per scongiurarle questo rischio che regaliamo ad Azzurra Caltagirone, figlia di Francesco Gaetano, imprenditore, costruttore ed editore, e moglie di Pierferdinando Casini, noto come uomo politico, un capolavoro della letteratura russa ottocentesca: Oblomov di Ivan Goncarov.

Vivendo le vicende del protagonista, e  fiutando le eventuali correlazioni, Azzurra, ci auguriamo, dovrebbe riuscire a mettersi al riparo da una certa pigrizia mentale, dall’idea di vivere di rendita, da qualsiasi forma d’infingardaggine, dall’assuefazione all’idea la propria condizione sia ontologica e che i propri privilegi non abbiano alcun costo sociale.

 

 

 

Oblomov, Ivan Goncarov, Einaudi 2006, p. 487, e. 13,50, Trad. Ettore Lo Gatto

Ilda Boccassini

15 Feb

Immaginiamo una data se non epocale, certo a partire dalla quale nulla sarebbe più stato uguale.
Immaginiamo uno straordinario protagonista della vita e della società, quali erano sino a quel momento. Laurea in economia con ottimi voti a Princeton, lavoro prestigioso in una società di consulenza newyorkese, ascesa rapidissima, brillante carriera di analista finanziario. Laurea in giurisprudenza, magistratura, procura della Repubblica di Milano, la prima inchiesta sulle infiltrazioni mafiose in Lombardia, la collaborazione con Giovanni Falcone. Una caratteristica fisica negata: la barba, folta, nera e incolta. Dunque araba? Una caratteristica fisica ostentata: i capelli rossi, ricci, riottosi. Dunque comunisti?
Poi. Undici settembre 2001, l’attacco alle Torri Gemelle, New York, USA. Diciassette febbraio 1992, l’arresto di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, Milano, Italia.
E se è vero che quel giorno nella vita di ognuno fece irruzione l’assoluto, l’effetto non fu lo stesso per tutti. Qualcuno avvertì, con il lucido nitore che solo la tragedia può dare, di essere nient’altro che un giannizzero, un servitore dell’impero sbagliato. E con tutta la violenza del servitore tradito, iniziò a guardarsi intorno con occhio analitico, non più soggetto alle pressioni, prima accademiche poi professionali, a concentrarsi solo sulle singole parti, ma libero di considerare la società come un tutto. Allora, la barba scura e i riccioli rossi non poterono altro se non innescare un processo di lenta ma inarrestabile rivoluzione, sorretti dalla consapevolezza della forza spirituale e barbarica della propria estraneità. Regaliamo a Ilda Boccassini il romanzo di Mohsin Hamid, Il fondamentalista riluttante (Einaudi, trad. Norman Gobetti) perché vorremmo che né di giannizzeri né di fondamentalismi questo paese avesse, finalmente, bisogno.

Un’America come quella andava fermata, non solo nell’interesse del resto dell’umanità, ma anche nel vostro stesso interesse. Decisi di farlo, meglio che potevo.

Mohsin Hamid, Il fondamentalista riluttante, Einaudi 2008, p. 134, e. 9,50, traduzione di Norman Gobetti

Milena Gabanelli

10 Feb

Nella settimana “rosa” impossibile non regalare un libro a Milena Gabanelli, ideatrice e faccia di Report, che dal 1997 a dispetto di tutte le operazioni legali (per chi – chi??? – non avesse ancora avuto il piacere di ascoltare la lista dei querelanti e degli indennizzi richiesti qui il video da “Vieni via con me”) e di ogni ipotizzabile intimidazione, continua pertinace a raccontare dalla tv nazionale un’altra Italia. Un paese di sprechi e malaffare, una terra di sole ma senza l’eolico, di autostrade che mangiano l’asfalto e finiscono disperse in brecciolino, di aeroporti incastrati nei centri abitati e di piste di atterraggio la cui eccentricità ha rinnovato il senso della parola norma; un “patria” di immondizia prima che l’immondizia stessa diventasse un’emergenza da Protezione Civile. Il nostro paese nascosto sotto il fard dei servizi targati tg2 su questioni annose e scomode come “Gli italiani preferiscono il caffè o il cappuccino?” o “Come non farsi ingannare dai saldi”. Per quella sua aria da terra irredenta e perché con la sua laurea in DAMS sbugiarda ogni pregiudizio, regaliamo a Milena Gabanelli La promessa di Friedrich Dürrenmatt. Nel suo atteggiamento spassionato e appassionate ritroviamo il commissario Matthäi, l’impegno di una vita per imporre a una realtà di caos una forma logica, una promessa di senso che fino ad oggi Milena Gabanelli ha sempre mantenuto.

Friedrich Dürrenmatt, La promessa, Feltrinelli 2003, e. 7, trad. di S. Daniele